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Care Seconde Generazioni,

poche parole anzitutto per spiegare come nasce questo testo. È stato scritto a più mani: una comunità di redattori ha utilizzato un foglio di lavoro elettronico. Questo strumento ha permesso che via internet ciascuno di noi intervenisse, sul modello Wiki, per comporre un documento unitario da “dirigere” alle seconde generazioni e a quanti interessati a loro. Aggiungiamo che la rivista Trickster, nella cui redazione lavoriamo, opera da alcuni anni anche come esperimento culturale attraverso la rete.(1)

Trickster appunto per questo motivo è molto interessato a un dialogo con le seconde generazioni, con le loro associazioni ma soprattutto con i singoli, che in questi anni si sono dimostrati assai concentrati sul piano delle rivendicazioni, ma che anche si sono distinti su quello della riflessione culturale:  sono ad esempio importanti tutte le narrazioni raccolte in molti blog personali o collettivi, a proposito della più personale esperienza delle “difficoltà d’essere italiani“.

Partiamo da una condizione con cui deve misurarsi oggi ogni sforzo di discorso:  sempre più – e certo non solo in Italia – quella che si diceva opinione pubblica sta schiacciandosi su di un’unica posizione possibile, le altre divenengono non soltanto insignificanti, ma persino illegittime e pericolose. Lo spazio della discussione pubblica è schiacciato da una sola  riduttiva interpretazione, sistematica tanto da volersi presentare come autentica.

Tale muro risulta a nostro avviso compatto oggi per la forza delle retoriche economiciste che legittimano questo ritorno del lessico securitario e razzista e con ciò la necessità dell’oppressione sociale: la crisi obbliga a certe inevitabili soluzioni ! Sarebbe necessaria una analisi delle cause del sopravvenire di simile rigidità (o regime), ma sembra che proprio una riflessione di tale portata sia quanto viene impedito da simile situazione. Si pensi ad esempio all’incapacità, ossia alla non volontà di sbarazzarsi dell’assurda distinzione moralista tra immigrato “regolare” e “clandestino”, tra immigrato “utile” e immigrato “dannoso”, quindi in sostanza alla non volontà di riaprire un discorso sulla cittadinanza, reale e formale.

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La redazione di Trickster ha ritenuto rilevante dedicare alcuni numeri della rivista al tema delle “Seconde Generazioni“: per la società italiana ed europea le seconde generazioni sono uno scandalo e quindi potenzialmente un fecondo punto di rottura. Le seconde generazioni parlano – con la loro voce, con la loro lingua – di un cambiamento delle società in cui vivono, di una loro nuova forma. Eppure queste società non si riconoscono in tali voci che parlano la loro lingua. È una incapacità scandalosa, non tanto per le seconde generazioni quanto per le società in cui esse crescono: si tratta di società che non riconoscono la propria realtà più evidente e quotidiana.

Se guardata da un versante riflessivo e parziale, le seconde generazioni sono testimonianza di una società incapace di riconoscere ciò che è diventata, ciò che attualmente è. Essa continua a immaginare di essere, identica a se stessa, qualcosa che forse mai è stata. Un’Italia immaginaria. Dal punto di vista dell’agire culturale e politico, le seconde generazioni pongono invece con forza all’Italia il problema di ripensare se stessa: cosa significa essere italiani oggi? Chi è l’italiano oggi? Insomma con il loro uso della lingua italiana, e dell’immaginazione che si associa a siffatte vicende individuali, pongono il problema politico e culturale di ripensare la cittadinanza italiana.

Vi chiediamo:
rivendicare la cittadinanza è solo un modo per “integrarsi” e diventare “come loro” (italiani con pieni diritti) o ha in sé un potenziale di rimessa in discussione dell’istituto e del concetto di cittadinanza? Vi chiediamo e ci chiediamo: diventare “nuovi italiani” significa rimettere in discussione il senso dell’italianità? Ossia vi chiediamo, nella rivendicazione di parte c’è anche un conflitto più ampio? E quindi, ciò che ci domandiamo è se sia sufficiente a livello politico la rivendicazione della cittadinanza o se questa rivendicazione debba essere articolata in un discorso più ampio.

Come ci hanno spiegato in modo molto esatto alcuni racconti del blog della Rete G2 – Seconde Generazioni, la maggioranza degli italiani (così come degli immigrati) sono molto lontani dal ripensare oggi la propria immagine di se stessi. Per questo motivo sembra inevitabile che la battaglia giuridica e culturale delle seconde generazioni presupponga anche una trasformazione antropologica della società italiana. È una battaglia per questo motivo che non riguarda solo le seconde generazioni, e che richiede un ripensamento dell’essere italiano. Ed è appunto per questo motivo che ci piacerebbe poter avviare un lavoro comune con voi, per le parti mutuamente utili e interessanti, un lavoro con quanti tra le seconde generazioni ritengano utile ripensare l’Italia.

Ogni (nuova) generazione ha anche un potenziale di rottura con quella precedente. Certo, alle seconde generazioni in quanto figlie di migranti, spetta una battaglia molto specifica perché le discriminazioni che le colpiscono hanno spesso dolorose e umilianti specificità. E probabilmente da questo punto di vista il principale piano di discussione deve essere quello giuridico e dei diritti: molto del rimanente ne discenderà come un corollario. Da un certo punto di vista l’unico significato dell’espressione italiano vero è di natura giuridica e corrisponde allo statuto della cittadinanza. Ma nonostante ci si sia sforzati di mettere in discussione il paradigma dell’identità, partendo piuttosto dal fatto che esistono singoli soggetti e non identità definite, nel discorso pubblico dominano le identità monolitiche ed essenzialiste: arabo, musulmano, cinese, veneto, cristiano…

Tale battaglia per i diritti di un gruppo ha quindi anche un grande implicito culturale: si tratta di lavorare per una italianità dagli orizzonti e dai confini nuovi.

Tra i passaggi più espliciti di un documento della Rete G2 risalente al 2006, intitolato L’italia che vorremmo e che ebbe importanza in una certa fase del nostro paese, leggiamo il seguente: “Noi G2 pensiamo che chi è nato o è arrivato minorenne in questo paese non debba dimostrare [grossetto nostro] la propria appartenenza all’Italia”. Così deve essere! A prescindere dalla lontananza, dal punto di vista delle ere della politica, di quel luglio 2006, probabilmente proprio su questa appartenenza all’Italia si tratta di lavorare, per dimostrare come essa debba essere reinventata.

In una puntata dell’Infedele di Gad Lerner di qualche tempo fa il momento forse più significativo fu quando la giovane trevigiana Meryem Fourdaus affermò di voler attuare un cambio radicale di strategia nei confronti della generazione dei genitori: se loro hanno dovuto chinare la testa e restare in silenzio, “noi” non lo vogliamo più fare. In questo senso ci sembra che un passaggio fortemente rivendicato sia proprio la “rottura”, non solo nei confronti dei “padri”, ma soprattutto di una società che non vuole ri-conoscere il suo stesso cambiamento. In questo punto la battaglia delle seconde generazioni è anche complessivamente battaglia delle giovani generazioni italiane (quelle che ci stanno).

Secondo Lerner, “la seconda generazione è per sua natura destinata alla rivolta”. Nell’imminenza di questa rivolta necessaria, dove si può trovare un terreno comune tra le “G2” e il più vasto numero dei giovani italiani? Un ragionamento importante lo abbiamo già fatto: la crisi della cittadinanza e della democrazia partecipativa segna le fasce giovanili in generale e cancella il loro potenziale di azione e di presa di parola. Forse proprio la ricerca di un terreno comune di azione è quello che potrebbe contribuire in misura maggiore a corrodere le rigide e falsificanti categorie identitarie e contrastare il rischio di una ghettizzazione, generazionale e identitaria.

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Sottolineeremo in conclusione un elemento prettamente generazionale. Chi lavora nella scuola nota con molta semplicità e stupore come quell’integrazione negata dalle amministrazioni e dalla legislazione, in una logica strettamente connessa con il mondo del lavoro, si realizzi continuamente nelle dinamiche tipiche dell’adolescenza, dinamiche talvolta conflittuali ma cariche di una vitalità che non è riconosciuta dal mondo degli adulti. Sorprendente è la rapidità con la quale adolescenti di seconda generazione reagiscano ai complicati processi cui sono esposti, tanto da accumulare una carica e una consapevolezza politiche spesso superiori a quelle di coetanei non costretti ad affrontare quotidianamente ad esempio il problema traumatico del permesso di soggiorno. Allo stesso tempo è evidente come tutti questi diversi giovani condividano un medesimo tessuto di relazioni, così come condivisa è la dialettica conflittuale con le parole del padre e dell’adulto, parole che istituiscono le forme di un mondo in cui ci si sente fuori-luogo.

Ecco perché Trickster, al momento di porsi la questione delle seconde generazioni, ritiene fondamentale interrogare la condizione giovanile tutta e il rapporto tra generazioni, con approcci molto diversificati: storici, letterari, teologici, psicologici, artistici… Un ennesimo versante del disagio che pare vivere il nostro paese è infatti il dispregio che esso dimostra per il proprio futuro, astio che si riverbera nell’abbandono della cura per il nuovo e appunto per la generazione che viene.

Un grazie anticipato per l’ascolto,

la Redazione di Trickster

Note

(1) Costituita da studenti universitari, giovani ricercatori e docenti non solo dall’Italia, la redazione di Trickster, come organismo aperto, è anzitutto interessata alle questioni teorico-culturali, sociali e politiche che segnano i nostri giorni.

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